di Sandro Pedrazzini

Stagione 1983/1984. Stagione in cui si festeggia il decimo di fondazione della società e, soprattutto, campionato del rilancio, dopo la deludente annata precedente, durante la quale si rischiò la relegazione in prima lega. Sono passati vent’anni da quella stagione. Non mi sento vecchio, ho però da poco raddoppiato l’età che avevo allora, ero diciannovenne, e, mi si permetta, la cosa può fare un certo effetto. Apro il cassetto dei ricordi, cercando di pescare qualche aneddoto da condividere, che mi riporti a quella stagione indimenticabile (promozione in serie A a punteggio pieno, e scusate se è poco) e che possa servire a tutta la società da stimolo per festeggiare come si deve l’imminente trentesimo. Il tutto iniziò con l’arrivo di Franz Petch a furor di popolo, primo allenatore non allenatore-giocatore, non allenatore-presidente, non allenatore-membro-di-comitato, o altre fantasiose combinazioni di moda, almeno allora, per necessità, nella nostra società. Oggi qualcuno li chiamerebbe conflitti di interesse. Insomma, Franz era il primo allenatore-e-basta. Non arrivava però mai solo (questo l’avremmo scoperto anche più tardi): in dote si portò stretto stretto tale Ton Van der Bosch, olandese di grande talento e, soprattutto, dal rendimento inversamente proporzionale ai chilometri nuotati in allenamento (ricordo le sue lunghe sedute di stretching, quando noi già pativamo in acqua). Questo fatto fu una grande rivelazione per noi giovani, convinti che bisognava macinare vasche su vasche per poter far bene nella pallanuoto! Forse anche per questo ritengo Ton il miglior straniero arrivato a Bissone. Ci si allenava quattro volte alla settimana, anche questo me lo ricordo bene, più una partita quasi ogni mercoledì sera, a Busto, Vimercate, Arona o Varese. Dopo le partite del mercoledì non posso non ricordare le cene ad ora tarda con primo e secondo, rigorosamente offerte dall’allenatore: Franz era una chioccia severa, ma amava trattare bene i suoi pulcini (e come non esserne riconoscenti, quando si è studenti squattrinati). I ricordi di quella stagione si intrecciano forzatamente con quelli della scuola, ultimo anno di liceo. Mi ricordo di dormite sul pulmino che mi portava ogni mattina da Bissone a Lugano, di occhi rossi dal cloro durante le ore di lezione del mattino (la canapa non era ancora argomento di discussioni quotidiane, ma sono convinto che la “soressa” di biologia mi credesse fumato), di raffreddori cronici, di mani tremanti durante le prove scritte (non era tremarella da espe, ma più semplicemente rimasuglio di acido lattico nel corpo). Quell’anno tornò anche Franco Gattigo da Ginevra, per una breve parentesi prima di cambiare definitivamente continente. Disse che quella fu la sua migliore stagione. E come dargli torto. Con un giovane Marco Gallina, che già alcune squadre di seria A ci invidiavano, il già citato Ton e Gianni De Stefani (giocatore-presidente Ecco la combinazione che mancava) formò un poker d’assi di elementi interscambiabili in attacco. C’era poi Werner Baumgartner, mancino DOC. Quando vedevi la sua mano sinistra elevarsi dalla selva di braccia durante lo schema “uomo più”, sapevi che se fossi riuscito a passargli la palla raramente avrebbe perdonato.

Ci sono anni in cui tutto va bene. Il campo d’allenamento ad Antibes, il secondo della società, oltre che permettermi di tornare a scuola abbronzato in aprile, cosa certamente non da sottovalutare, fu un successo anche perchè permise di consolidare il gruppo. Come in tutte le squadre c’erano “vecchi” e “giovani” e si trattava di trovare il giusto feeling. In questo aiutano senz’altro elementi un po’ bizzarri, come potremmo definire il portiere di allora: Hermann “Mandu” Lobsiger. Aveva tutta una serie di riti scaramantici prima e dopo la partita. Alla fine di ogni allenamento annunciava i suoi classici dieci minuti di “rolladen”: significava che nessuno per quei dieci minuti sarebbe riuscito a segnare. A volte le coincidenze sono strane: Mandu non sapeva ancora che sarebbe finito a lavorare, qualche anno più tardi, per una ditta di tapparelle e tende da sole.. Credeva nei modi di dire e li realizzava letteralmente. Smise di giocare al termine di quella stagione e per lui “appendere il costume al chiodo”, significò trapassare brutalmente la parete degli spogliatoi della piscina di Friborgo (ultima partita), picchiando con violenza su un chiodo di quindici centimentri con penzolante un costume bagnato. Dicevo all’inizio che quella era la stagione del decimo anniversario. Come non ricordare allora Rudi Von Arx, difensore centrale, impegnato quell’estate a vendere magliette prima e dopo (e se avesse potuto anche durante) le partite. Ne vendette a centinaia, anche in trasferta. Ancora anni dopo per alcuni di noi quelle magliette rimasero oggetti “cult”.

In piedi da sinistra : Sergio Savazzi, Marco Gallina, Franco Gattigo, Ton Van den Bosch, Rudi Von Arx, Hermann Lobsiger, Franz Petsch.

Prima fila da sinistra : Werner Baumgartner, Daniele Porcarelli, Sandro Pedrazzini, Gianni De Stefani.

Credo che qualcosa cambiò dentro di lui, maturando la tentazione di lasciare la banca e improvvisarsi venditore. La prova fu la ripetizione della performance un anno dopo, primo anno in serie A: riuscì a vendere centinaia di “espadrillos” con la scritta S.P. Bissone. Oltre a chi vi scrive, quella squadra aveva altri due giocatori giovani, anzi giovanissimi, appena sedicenni: Daniele Porcarelli e Sergio Savazzi. Due talenti, in modi diversi, che iniziavano a giocare in prima squadra. Sicuramente importanti quell’anno ma, soprattutto, di lì a poco, determinanti nel contribuire alle fortune del Bissone nelle parecchie stagioni in serie A che seguirono. Fu quello anche il primo anno in cui si giocò a Carona. Rammento ancora che mi mandò Gianni (e chi non ha mai lavorato per lui, almeno una volta nella vita?) un pomeriggio di aprile, con tre lattine di vernice e un pennello a tracciare le linee del campo: due metri, quattro metri e metà campo. Lo feci con fierezza, dopotutto si trattava della nostra nuova sistemazione e non capita a tutti di poter “disegnare” il campo su cui si gioca e su cui si sarebbe giocato ancora per anni. Ero da solo quel pomeriggio a Carona. Non nascondo che fu una fatica resistere alla tentazione di accorciare le misure del campo. Di Carona rivedo ancora le nutrite cornici di pubblico, in aumento proporzionale ai punti che si accumulavano di giornata in giornata in classifica. Festeggiammo lì, ad alcune giornate dal termine del campionato, la promozione matematica. Giornali, televisione, interviste. Anche questo era una novità.

Mi fermo qui. Scavare nei ricordi provoca anche un po’ di nostalgia, e non era questo lo scopo del contributo. Volevo semplicemente proporre la stagione di allora perchè è stata l’inizio della lunga avventura del Bissone in serie A (da dove, ricordiamolo, sul campo non siamo mai retrocessi) e perchè ritengo che quest’anno ci siano le premesse per fare bene e festeggiare a dovere il trentesimo. Dicevo prima che ci sono stagioni in cui tutto sembra andare bene.


La nascita
La fondazione nel 1974
Anno 1975
Bogliasco 1981 – Campo d’allenamento
Ricordi di una promozione, 1984
Media – Foto – Giornalini – Articoli dal 1974 a …